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… per l’interesse specifico alla narrazione delle lotte operaie

Mi hanno assegnato la «Targa Domenico “Memmo” Baldoni» per “Alti meriti nella ricerca di tradizioni orali e ricerca – azione di comunità”. Ne sono davvero onorato, non solo e non tanto per me e il lavoro svolto ma in particolare per tutte le persone che mi hanno permesso di farlo, le vere protagoniste delle loro storie che hanno costruito, e di cui io ho cercato di essere il cronista.

Gli “alti meriti” – una definizione che mi imbarazza – più che per “la ricerca di tradizioni orali” – per la quale le altre persone inserite nella rosa proposta dal Comitato Scientifico rappresentano lavori ben più importanti dei miei, che io utilizzo come fonti – mi sembra che riguardino di più “la ricerca – azione di comunità”. E in questa, mi pare che al centro delle attenzioni del Comitato Scientifico ci sia il libro La Simeide, del 2019, nel quale non racconto soltanto la lunga vertenza della Sima di Jesi – che nell’insieme delle due fasi durò venti anni, dal 1977 al 1996, e poi anche di più se vi includiamo la lotta di meno di un anno fa dei lavoratori della oramai ex-Caterpillar, che degli operai della Sima sono gli eredi.

Sullo sfondo della vertenza Sima c’è la storia di una città, con i suoi profondi cambiamenti in un periodo in cui, come scrivo nell’introduzione, non solo cambiò il mondo ma anche il modo di raccontarlo. E sullo sfondo c’è l’intero paese e poi la storia delle lotte operaie dell’intero novecento, per poter comprendere meglio non solo il contesto in cui la vertenza si svolse, ma anche il suo impatto su quel mondo e la consapevolezza che gli operai dovettero acquisirne.

La Simeide è un libro collettivo, reso possibile dalla documentazione raccolta giorno per giorno da alcuni operai – ricordo innanzitutto l’amico fraterno Cesare Tittarelli, uno dei tanti sempre in prima fila. Sono alcune migliaia di volantini, comunicati, telegrammi, articoli di giornale, documenti, e poi anche denunce e avvisi di comparizione, davvero tanti – custoditi in un fondo presso il Centro Studi Libertari di Jesi, dentro quel loro notevole archivio che hanno chiamato “Ora d’aria – archivio della memoria”. Li ho letti tutti e ne ho costantemente discusso con alcuni ex-operai che avevano ricoperto ruoli importanti durante quella lunga lotta, e poi con l’aiuto di Giordano Mancinelli ho anche “riconvocato” il vecchio Consiglio di fabbrica, per ridiscuterne insieme. E oltre agli operai coinvolsi tanti altri, ricordo innanzitutto le discussioni con Aroldo Cascia che all’epoca era stato Sindaco e poi senatore e per facilitare il mio lavoro al libro mi fece portare a casa mia anche il suo archivio.

Poi volli incontrare anche i “nuovi” operai di oggi, – nel 1996 lo stabilimento della Sima già salvato dagli operai (una lotta costellata di sacrifici, una vittoria con il retrogusto amaro l’ho definita, perché molti operai, Cesare compreso, non riuscirono MAI a rientrare in fabbrica) veniva acquistato dalla Caterpillar e tornava definitivamente ad una produzione normale, proseguendo lo stesso prodotto, che era di qualità perché la crisi era stata creata solo dalla dissennata gestione finanziaria della precedente Proprietà – perché volevo vedere se quella antica memoria ancora sopravviveva. La risposta fu Sì, mi invitarono anche in assemblea, insieme a Giordano Mancinelli, quando il libro uscì, per condividerlo con loro.

Infine, lo scorso dicembre, quando appresi dal telegiornale regionale che la Caterpillar – sempre per scelte finanziarie tutte sue – voleva chiudere e licenziare tutti, mi sono accorto che il delegato operaio che parlava al microfono stringeva in mano un libro con la copertina rossa: era La Simeide, lo portavano con loro dicendo “noi siamo gli stessi della Sima, non molleremo”. Ho avuto l’onore di dare una mano a qualche loro iniziativa, come l’8 gennaio con la Consulta per la Pace, durante il lungo presidio davanti lo stabilimento, o seguirne altre per raccontarle, come il loro incontro con gli operai GNK, simili a destini incrociati”.

Ecco, la memoria è questa identità che si conquista giorno per giorno. Per questo il premio mi onora; se fossi io da solo a riceverne i meriti, mi sentirei inadeguato, direi che sarebbe esagerato, che esistono tanti altri lavori importanti, di ricerca svolta con passione e competenza per anni, tutte cose che sono ben rappresentate meglio di me dalle altre persone proposte dal Comitato Scientifico nella rosa dei nomi.

Credo che sia stata La Simeide al centro dell’attenzione del Comitato Scientifico, quando mi ha proposto, e dei tanti che leggendo la notizia hanno manifestato il loro interesse.

Tra i tanti altri lavori di cui mi sono occupato negli anni, con i miei libri e racconti, sempre seguendo il filo conduttore della Memoria, un ruolo importante lo ha avuto il libro “L’erba dagli zoccoli” dedicato alle lotte contadine del dopoguerra: i contadini, che come ricordo con una battuta in un racconto del libro, quando gli dicevano che, sì, le loro lotte erano importanti ma dovevano pensare all’alleanza con gli operai, un po’ spazientiti decisero di andare loro in massa a dare manforte agli operai, nelle fabbriche delle città, del nord e dell’Europa, e nelle miniere – quanti, dopo le loro lotte dovettero emigrare? – e anche grazie a loro arrivò quella lunga e importante stagione di lotte e partecipazione che consentì di acquisire diritti, nuove leggi, trasformare tutto quel progresso industriale anche in un po’ di progresso sociale.

Anche di queste lotte contadine ho cercato di fare il cronista, e oltre a cercare la documentazione per tirarle fuori dal “dimenticatoio” mi sono posto il problema di COME raccontarle: anche questo andava fatto in modo collettivo e così è nato anche un altro lato di questo progetto, con la collaborazione di alcuni musicisti – Vi Cunto e Canto, lo abbiamo chiamato – e parallelamente con la nuova associazione Arci Voce, e sono nati così anche canzoni su quelle storie – “treni alla stazione” dedicata alla Sima – e poi reading concerto e spettacoli teatrali: La Simeide la presentammo così la prima volta, tutti insieme lettori e musicisti e testimoni.

Un po’ paradossalmente, non ho scritto mai nulla proprio sulla storia di Cabernardi, anche se ci ho pensato più volte perché un po’ l’ho sempre avuta nel mio immaginario; io sono nato lo stesso anno della loro lunga occupazione, i sepolti vivi, tanti Ciàula che la luna l’avevano già scoperta dentro se stessi. Di recente ho letto sulla loro storia il bellissimo libro di Lilith Verdini, “Zolfo, carbone e zanzare” anch’esso il risultato di un lungo paziente e appassionato lavoro collettivo, con una cronista capace di farsene carico.

Ce ne sono davvero tante di storie e di “cronisti” che le raccolgono, in tante forme diverse, le lotte e la vita nei sacrifici e nelle gioie, nelle tradizioni, feste e canti, perché è un mondo unico e sempre anche i canti, la musica e le poesie popolari hanno accompagnato sia i momenti cruciali delle lotte – quante canti sono nati addirittura dentro le carceri? – sia le fatiche che quotidianamente ripetevano, come le filandare di Jesi raccontate da Gastone Pietrucci -, e insieme le feste, liberatorie, che seguivano anche i ritmi annuali delle stagioni e delle feste, per ritrovarsi e riconoscersi. Va un grande merito a chi cura contesti come questo del premio dedicato a Domenico “Memmo” Baldoni, per continuare a condividere queste storie e mantenerle vive.

(FOTO1, FOTO2 e articoli)

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Destini incrociati

Destini incrociati. Mi veniva in mente il romanzo “Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, ieri sera, mentre al presidio dei lavoratori Cat di Jesi ascoltavo gli interventi, alternati tra loro, dei delegati delle rsu della Caterpillar di Jesi e del collettivo della Gkn di Campi Bisenzio (qui per la prima tappa dell’Insorgiamo tour).

Nel romanzo di Calvino, del 1973, alcuni viandanti, da direzioni diverse, si perdono in un bosco e si incontrano in un castello, ma hanno perso l’uso della parola, così per raccontarsi le loro storie possono usare solo un mazzo di tarocchi, che a turno dispongono sul tavolo e ad ogni sequenza delle carte corrisponde un racconto, che però può  essere interpretato anche in più modi, o è  aperto a più possibilità, da scoprire e trovare, o provare a raccontare da punti di vista diversi, ma usando sempre e soltanto le carte, iniziando così, in questo modo difficile e che richiede grande immaginazione, a comprendersi e intrecciarsi tra loro.

Si parlava di Storia, ieri, di storia del territorio, del lavoro e dei suoi risultati che appartengono al territorio (anche lo stabilimento di via Roncaglia a Jesi è figlio di quella storia, delle lotte della Sima) e a chi di quel territorio è parte costitutiva; rispondendo con la materialità del territorio alla virtualità delle proprietà finanziarie, che come bolle crescono sulle spalle dei vari territori, e come bolle quasi ne respirano l’aria. La storia non come un amarcord nostalgico ma come parte della realtà  odierna, la nostra narrazione che siamo noi.

La Gkn, come multinazionale, entrò allora, per un momento, nella storia della Sima. La Simeide.  Nel 1980, nella prima fase della crisi, quando il vecchio proprietario, quello che aveva causato il disastro,  era stato messo nella condizione di non decidere più e altri tentavano ancora il salvataggio, con prestiti bancari ( era stata capofila del pool di banche la Cassa di Risparmio di Jesi) e con  imprenditori che volessero investire direttamente in Sima. A luglio vennero a Jesi il Presidente Wilkinson e il principale azionista Butler, poi erano andati in Inghilterra l’allora amministratore della Sima, l’americano Raffaldini accompagnato da Rossignolo della Fiat, in quel momento il numero uno della riorganizzazione internazionale della Componentistica Fiat (di Rossignolo nel libro La Simeide parlo in un breve capitolo intitolato “Piccoli animali di cortile”, riprendendo una sua espressione per definire con nonchalance il parco buoi dei piccoli fornitori Fiat).

Il Consiglio di Fabbrica e anche  il sindaco di Jesi Aroldo Cascia (racconta infatti questa vicenda della Gkn anche Leonardo Lasca nel libro Aroldo Cascia il sindaco rosso, che sarà  presentato a Jesi il prossimo 26 febbraio, a due anni dalla scomparsa di Aroldo), ne furono informati solo qualche mese dopo, quando gli operai alla Sima avevano iniziato ad innervosirsi, diciamo così.

Sono gli stessi mesi del braccio di ferro alla Fiat, da poco è amministratore Cesare Romiti e c’è prima la minaccia di licenziamento e poi la casa integrazione a zero ore per 23 mila operai;  la vicenda si conclude male, si tira dietro pure una crisi di governo e a Torino si ha la famosa marcia dei quarantamila che chiude anche simbolicamente un’epoca sindacale. In questo contesto, già di per sé alquanto complicato, ci sono pure altre trattative commerciali per nuovi canali o accordi di fornitura tra Iveco e altri partner forse americani, e a livello nostrano c’è pure il muoversi in libertà di diversi politici che per protagonismo promettono nuove strade che forse nemmeno esistono.

Solo confusione. Alla fine la trattativa salta, tanto più che Gkn chiede una cessione del pacchetto azionario senza nessuna contropartita, una sorta di resa senza condizioni, così alla fine non si fa più nulla e l’ad della Sima, l’americano, si dimette perché la sua strategia ha fallito, aprendo alla Sima un periodo di interregno, con amministratori che si dimettono uno dietro l’altro.

Intanto, lo scontro ha evidenziato uno scenario non solo localistico ma internazionale, e il Consiglio di Fabbrica inizia a muoversi di conseguenza, comincia a prepararsi per il momento più alto della scontro, quando nel periodo di carnevale del 1981 si forzerà la mano con un bel blocco delle merci, così totale che ne sentono il colpo anche alla Iveco, dove diverse linee produttive sono costrette a rallentare, ma è questo il modo per andare verso l’apertura, a fatica e ancora tutta incerta, di un nuova strada che possa davvero portare a degli sbocchi,  e che per il momento deve passare per il commissariamento dell’azienda. Poi la lotta durerà ancora, prima di concludersi.

Si fa presto a dire lotta, occupazioni, cortei, striscioni, intanto si tratta di sacrifici, e poi dietro c’è sempre un intero mondo di “destini incrociati” che reclamano intelligenza, attenzione, interpretazioni che non conosci mai prima che le cose accadano, ma comunque richiedono ugualmente scelte altrettanto determinate; è stato bello ieri sera vedere come lavoratori di realtà diverse si ritrovino – come viandanti in un bosco intricato – in questo percorso.

Loro possono parlarsi e far sentire le loro voci (lo fanno oramai anche “simbolicamente”, come ieri sera prima dell’assemblea, inrociando i loro slogan e i loro canti di battaglia, e anche le loro parole d’ordine: #senzatregua e #insorgiamo, e anche qui si riprendono slogan partigiani di una storia che non è solo amarcord); possono far sentire le loro voci e allora i racconti che si scambiano sono come quei tarocchi da reinterpretare insieme di continuo, nella strada che devono aprirsi. Nel romanzo di Calvino alla fine uno dei viandanti commenta: «Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro».

Perché raccontare oggi la storia della Sima?

Perché è una storia viva della città, mai interrotta e presente ancora oggi. La Sima storica andò in crisi finanziaria per responsabilità della Proprietà, e proprietario e dirigenti finirono anche sotto processo per distrazione di capitali. Produttivamente era sana, la professionalità degli operai elevata e nel proprio comparto, i cilindri oleodinamici per macchine movimento terra, era leader in Europa. Tra i suoi committenti c’era già anche la Caterpillar, che dunque conosceva bene il prodotto Sima. Quando gli operai compresero la Non volontà della Proprietà di risanare la Sima con nuovi capitali, in sostituzione di quelli distratti, dissero che aveva perso il diritto di essere proprietaria, e che se ne doveva andare via. Occuparono la fabbrica, chiesero l’amministrazione straordinaria e la ricerca di un nuovo imprenditore che volesse investire e salvaguardare il prodotto aziendale, di qualità.

Per evitare il fallimento non si doveva mai interrompere la produzione, per nessun motivo, e dovevano esserci sempre proposte di acquisto valide di nuovi imprenditori. Gli operai fecero di tutto, perfino riaprire da soli i “rubinetti” del metano quando la Snam voleva interrompere le forniture, o costituirono loro una cooperativa che presentò un piano industriale e una proposta di acquisto, in un momento in cui tutti i possibili acquirenti s’erano tirati indietro. Uno di questi miracolati imprenditori era andato perfino in galera, perché beccato, in altre aziende in crisi, a lucrare sui contributi pubblici senza risanare nulla. La Sima non si interruppe mai e non fu mai messa in fallimento. Era una girandola di proposte industriali: chi voleva produrre posate, chi macchine da corsa, arrivò pure un’azienda di rottamazione. La prima proposta seria arrivò soltanto nel 1988. Furono fermati treni per sostenere anche l’approvazione dei necessari passaggi legislativi.

Finalmente, il 9 gennaio 1989 (dodici anni dopo la prima conferenza operaia di produzione sulla Sima, l’8 gennaio 1977) nasceva la Sima Nuove Industrie e i primi operai “uscivano” dal regime di amministrazione straordinaria per rientrare in un normale rapporto di lavoro, ma lo stabilimento era sempre quello, in via Roncaglia (quello di via Mazzini invece fu chiuso e demolito), e la stessa produzione, e quindi di era la continuazione, su basi nuove e risanate. La lotta aveva vinto. Se quello stabilimento di via Roncaglia ha potuto continuare la produzione, gran parte del merito fu di quella lotta, senza la quale non ci sarebbe stata nemmeno la presenza, per 25 anni, della Caterpillar.

Certo, non erano più i 700 operai della Sima di un tempo; nel gennaio del 1989 ne restavano 400, alcuni erano prossimi alla pensione, e nonostante gli accordi presi, cento di loro furono lasciati fuori, senza fabbrica, e ci fu un’ulteriore coda della lotta, ancora più amara, per cercare almeno una collocazione in un’altra azienda. L’ultimo “senza fabbrica” fu assunto dalla Ionic Italba nel 1996, venti anni dopo l’inizio di tutto.Per questo la loro lotta mi è sembrata un’epopea e l’ho chiamata La Simeide.

Il titolo completo però è “La Simeide, una lotta vincente”, perché questo fu l’esito, anche se con molte amarezze. La Sima non fallì mai, non smise mai di produrre, e nel 1996 la Nuova Sima Industrie cedeva la proprietà alla Caterpillar, la quale conosceva già bene il prodotto Sima, e prendeva in mano un’azienda già risanata, valida, con un prodotto di qualità e una professionalità operaia elevata, e così continuò nello stesso stabilimento la stessa produzione. Fino ad oggi. Questa storia gli operai di oggi la conoscono bene, è arrivata fino a loro e vogliono proseguirla.

Ma non è solo una storia operaia, è invece dell’intera città, che si è intrecciata con queste lotte e che ha qui un pezzo della propria identità, perché senza la partecipazione di tutta la comunità, gli operai da soli, seppure determinati e sempre al centro delle iniziative, non ce l’avrebbero fatta. Un’azienda è il suo territorio, è di tutti, non è un giocattolo nelle mani esclusive di qualcuno che si crede libero di fare ciò che vuole.

Senza Tregua

“LA SIMEIDE. UNA LOTTA VINCENTE”. Sì, ma a che prezzo? In questi giorni che si è aperta la crisi alla #Caterpillar di Jesi, m’è capitato d’avere avuto alcune conversazioni private nelle quali, è ovvio, riemerge il paragone con la storica Sima, di cui lo stabilimento attuale di via Roncaglia è la diretta continuità. M’è stato chiesto, essendo io l’autore di quel libro, quali sono secondo me le differenze e le somiglianze, e non è mancata nemmeno la battuta sugli operai di una volta, che quelli sì… Sì, è anche vero che durante il lontano “autunno caldo” la parola Operaio si scriveva con la maiuscola, ma non furono certo tutte rose e viole, e forse anche quel sottotitolo al mio libro, “Una lotta vincente”, più che doveroso perché furono davvero gli operai e i dipendenti tutti, con la loro lotta, e insieme a loro la città, a vincere e salvare l’azienda, assicurandone la continuità produttiva. Io però non auguro agli operai della Caterpillar di vincere in quello stesso modo.

Ho chiamato il libro Simeide perché fu un’epopea, ma l’epica resta soltanto un modo di raccontare, arriva dopo, quando sappiamo già come è andata a finire. Il difficile è raccontarlo prima, cioè costruirlo quell’esito. Nel libro cerco di immaginare le scelte di lotta degli operai giorno per giorno, seguendoli io stesso nel racconto attraverso quello che loro stessi scrivevano sul momento, sui loro volantini e comunicati, quando davanti a loro era ancora tutto incerto e ogni scelta poteva aprire chissà quali strade, oppure chiuderle.

La Simeide è come l’Iliade e l’Odissea sommate insieme, anche nella durata, durò venti anni, ma alla Sima la fase “guerreggiata” fu anche più lunga, ci vollero ben 12 anni per arrivare nel 1989 (dopo occupazioni, commissariamenti, girandole di imprenditori improvvisati che fiutavano solo l’affare dei contrbuti pubblici) all’accordo che consentiva la ripartenza, con la “Nuova Sima” che acquistava gli impianti e riassumeva gli operai dopo la loro liquidazione della loro “vecchia” Sima, per proseguirne la stessa produzione.

Non auguro di sicuro agli operai CAT (chissà perché in questi giorni sto iniziando a immaginarli un po’ come i gatti nella notte: solo loro possono immaginare ciò che troveranno davanti in questa notte che si è aperta) di impiegare anche loro 12 anni, di dover resistere così tanto. Furono 12 anni di cassa integrazione pagata con messi di ritardo, di denunce e processi quando erano costretti a fermare i treni o a sequestrare i tecnici del gas che andavano a interrompere le forniture, bloccando definitivamente la produzione, e così via (“Mica lo sapevamo se saltavamo tutti in aria”, mi raccontava l’operaio che si trovò a girare quella manopola del gas che io immagino grande come il volante di un camion). Poi sì, una volta ci fu anche un pretore che disse: “Non è reato lottare per il posto di lavoro”, ma erano eccezioni, non accadevano così spesso (e comunque, questo sì, era forse anche il segno dei tempi, di un’altra cultura).

Non gli auguro 12 anni di lotta. Poi ci fu anche “l’Odissea”, cioè il ritorno a casa, le riassunzioni alla Nuova Sima, ma non furono per tutti, un centinaio rimasero fuori nonostante l’accordo, fecero un comitato, “dei senza fabbrica” furono chiamati, e la casa a cui tornare se la dovettero cercare da un altra parte. L’ultimo “senza fabbrica” fu ricollocato 8 anni dopo e solo allora il loro portavoce, Cesare Tittarelli (che era stato il penultimo, appena pochi giorni prima), dichiarò sciolto il Comitato per aver terminato il proprio mandato; un Comitato che oltre ad essere uno strumento di lotta era stato anche una “cassa di compensazione” di tante amarezze, sostenendosi insieme tra loro. La ricollocazione dell’ultimo cassaintegrato coincise anche con la fine della fase intermedia, quella della “Nuova Sima”, con il passaggio alla Caterpillar, e sembrò che dovesse nascere una nuova storia, separata dalla precedente.

Io “la storia” della Sima l’ho definita nel libro una lotta vincente, includendo anche loro, i “senza fabbrica”, perché non hanno mai mollato, nonostante la divisione che purtroppo s’era anche creata. Dopo che erano stati privati del ritorno a casa, mi sembrava eccessivo privarli anche del merito della vittoria alla quale avevano contribuito in prima persona, per uno stabilimento che non chiudeva e una produzione che restava viva e qui in città.Una vittoria con il retrogusto amaro, la definisco, ma per questo ancora più piena e veramente di tutti.

Una vittoria che costò un prezzo molto alto, sacrifici enormi, e che a molti di loro sottrasse un ampio arco della vita lavorativa. Certo, poi, giustamente diventa racconto ed epica, emergono perfino gli aneddoti, i momenti divertenti (quando in una delle tante “gite romane” capitarono ad un ricevimento organizzato non per loro ma, già che c’erano, come cavallette spazzolarono via tutto ciò che c’era sui vassoi), o quelli significativi e carichi di forte sentimento, come quando si trovavano lì insieme in mezzo ai binari e all’arrivo della telefonata da Roma che annunciava l’accordo, loro per scaricare l’enorme gioia, e tensione, afferrano il Sindaco, che era lì con loro, e lo lanciano in aria per festeggiare.

Non si augura a nessuno di passare quello che hanno passato gli operai della Sima, sostenendo un costo così duro. Semmai è il contrario, è proprio perché lo si deve a loro questo stabilimento che è un pezzo dell’identità di questa città, che va salvato di nuovo, perché il prezzo è stato già pagato e ora c’è solo da rispettarlo. Quel prezzo, gli operai della Sima lo hanno già pagato, non solo per loro ma anche per il futuro di questa realtà.

Oggi rispetto ad allora tutto è diverso, non ci sono paragoni; è come un fiume, dove ciò che resta uguale è soltanto il suo scorrere, come il conflitto di classe (termine obsoleto, che si usava normalmente al tempo degli operai con l’iniziale maiuscola) che pur in forme diverse continua a manifestarsi ogni volta che il “profitto” entra in conflitto con i “salari”. Le forme cambiano. Al tempo della crisi della Sima la Proprietà era ben individuabile fisicamente, aveva un nome e un cognome (finì anche sotto processo), il fine era esasperare il profitto e per questo mise in crisi finanziaria l’azienda pur avendo un prodotto di qualità e leader sul mercato europeo; gli operai posero fin dall’inizio l’obiettivo (per nulla rivoluzionario ma molto pragmatico) che per una volta era meglio che anziché gli operai ad andarsene fosse “la Proprietà”, e ci vollero 12 anni per avere un nuovo imprenditore con un piano industriale rispettoso di quella storia e di quella professionalità operaia.

Oggi nel mondo della globalizzazione finanziaria le proprietà sono molto più eteree, non si è nemmeno più sicuri che esistano davvero o che siano loro a scegliere anziché metafisici algoritmi, sono impalpabili, azionariati diffusi tra fondi a loro volta combinazioni di altri fondi, e gli andamenti dei mercati finanziari ne “dettano” i rendimenti, senza curarsene, ancora una volta, della effettiva qualità del prodotto, e di qualsiasi altra cosa, dall’importanza che questa storia ha per la comunità locale alla sorte delle 260 famiglie più tutte le altre interessate dalle lavorazioni dell’indotto. Ma al di là di tutto, forse è sempre lo stesso problema, pragmatico, di avere un imprenditore legato alla qualità del prodotto e alle sorti della comunità locale. Non vado avanti su questo, non ne so nulla dei dettagli della situazione attuale, dipende dagli operai saper valutare, approfondire, individuare le vie d’uscita e portarle avanti con la massima autonomia e determinatezza, scovando ogni volta le vie giuste (“Non sapevamo più che cosa inventarci” è un’altra delle frasi importanti che ho ascoltato dagli operai di allora), e a chi sta attorno, alla “comunità locale” (che a dire il vero è un concetto molto complesso), aspetta di dare tutta la propria solidarietà, purché sia attiva e non compassione. Ma non è semplice e scontato averne consapevolezza.

Chiude la Caterpillar. La notizia, senza alcun preavviso.

“Chiude la Caterpillar. La notizia, senza alcun preavviso, questa mattina in occasione della riunione semestrale ad Ancona: i sindacati lasciano il tavolo, 280 lavoratori a rischio”. Leggo questo sui giornali di oggi. https://www.qdmnotizie.it/jesi-chiude-la-caterpillar-mobilitazione-davanti-allo-stabilimento-video/

Nessun preavviso, al momento non si sa nulla di più. Lo stabilimento è quello dell’ex Sima, salvata allora dagli operai dopo una dura e impegnativa lotta durata venti anni e che coinvolse tutta la città, in più fasi e purtroppo lasciando comunque fuori alla fine un centinaio di operai, fino a che nel 1996 divenne proprietaria la multinazionale Caterpillar, rinormalizzando la situazione e proseguendo la stessa produzione storica per cui lo stabilimento di Jesi era stato leader in Europa.

Qualche anno fa ho ricostruito le tappe di quella lunga stagione di lotta nel libro LA SIMEIDE , e fui anche invitato allo stabilimento di via Roncaglia anche dalle rappresentanze sindacali aziendali per ricordare con gli operai di oggi le lotte di ieri. Come se si trattasse di una storia del passato, e invece eccola anche qui, oggi.

Nell’immediato, a caldo, possono venire in mente soltanto alcune macro differenze di contesto (oltre a quello dei modelli di partecipazione politica e sociale di allora, che consentivano comunque il forte protagonismo di chi ci lavorava); allora, in quel modello economico, la causa principale della crisi era stato il trasferimento all’estero di risorse da parte della proprietà e il sentore delle difficoltà c’era tutto, si riusciva bene o male a recuperare nformazioni per tempo e a capire che stava succedendo; a gennaio del 1977 era stata organizzata una conferenza di produzione per fare il punto sulla situazione aziendale e presto ci si rese conto che quella ‘Proprietà’ non era affidabile e andava estromessa. Il primo vero risultato di quella lunga azienda si ebbe soltanto dodici anni dopo, in una situazione quasi epica e la necessità di dover fermare più volte i treni alla stazione; poi ancora alcuni anni, altrettanto difficili, prima della normalizzazione con la Caterpillar.

Oggi, in questa nuova fase di globalizzazione, tutte le scelte sembrano volare così in alto che non si ha più nemmeno il sentore di nulla, le realtà locali non contano nulla per chi guida le aziende e dispone a piacimento del lavoro, trasferendolo qua o là. E sicuramente anche le comunità locali hanno una percezione diversa, meno diretta, ci si coinvolge di meno su ciò che può accadere in uno stabilimento del proprio territorio.

E invece è ora di nuovo delle solidarietà da ricostruire, su basi magari nuove, perché credo che anche oggi, pur nelle condizioni diverse, si possa fare qualcosa e reagire a queste scelte aziendali che azzerano posti di lavoro e un intero comparto; e magari riuscire ancora oggi a trovare dei risultati, come ad esempio si può vedere da altre situazioni aziendali odierne in crisi più o meno simili, tra le quali la più vicina a noi è quella della Elica.

La Simeide: Una vicenda umana da non dimenticare

Davide Quadraroli, 30 marzo 2021 (pubblicato su FRESNO, rivista on line di Seri Editore)

Il libro del quale mi accingo a parlare è La Simeide: Una lotta vincente, saggio storico dal taglio romanzesco scritto da Tullio Bugari. L’opera tratta delle vicende dell’azienda metalmeccanica jesina Sima, concentrandosi nello specifico sulla storia dei suoi lavoratori che, a fronte di decennali vertenze, sono riusciti a difendere i loro posti di lavoro e la stessa sede dalla chiusura.

Ad una prima occhiata potrebbe sembrare che si tratti di una vicenda provinciale e nulla più, ma in realtà essa fu profondamente legata nel suo sviluppo alle evoluzioni politico-economiche locali e nazionali. L’unico punto fermo di quegli anni fu costituito dal Consiglio di fabbrica (Cdf) costituito dagli operai, intenti con ostinazione e coerenza a difendere i loro diritti in quanto lavoratori. Il fatto che tutto ciò si sviluppò lungo diversi decenni ci permette di osservare come i mutamenti della nazione si siano riflessi sui fatti narrati, un aspetto che la scansione in anni del testo permette di seguire senza problemi.

Il sottotitolo dell’opera riassume pienamente quanto avvenuto, a partire dal fatto che la sopravvivenza dell’azienda non fu affatto scontata, svolgendosi tra periodi di stasi, accordi sfumati e un costante attivismo dei lavoratori, volto a mantenere sempre alta l’attenzione su quanto accadeva. Il tema principale rimane, appunto, la lotta praticata su più fronti: da quello interno nei confronti della proprietà e dei suoi numerosi amministratori delegati a quello esterno riguardante i rapporti economico-produttivi con la Fiat, le cui crisi ed espansioni si riflessero sulle commesse, la politica nazionale – con la sua cronica instabilità – e locale, senza dimenticare il supporto dell’amministrazione cittadina che, seppur con alcuni errori e polemiche, fu sempre disponibile al dialogo.

La sopravvivenza dell’azienda non fu affatto scontata, svolgendosi tra periodi di stasi, accordi sfumati e un costante attivismo dei lavoratori.

Questo spaccato di vita operaia si svolse tra il 1977 e il 1996 e può essere articolato in tre atti: il primo che partendo dal 1977 arriva al 18 dicembre 1981, quando Enrico Cavallo venne nominato Commissario per l’amministrazione straordinaria della Sima, ponendo così fine alla vecchia proprietà, che con scelte legate al proprio tornaconto personale fu responsabile del quasi fallimento aziendale. La dirigenza fu poi giustamente chiamata a processo per rispondere delle proprie azioni, ma purtroppo il tutto si concluse in un nulla di fatto.

La seconda parte riguarda il lungo periodo del commissariamento che si concluse nel gennaio 1989 con l’apertura della nuova Sima. Questa fase fu la più intensa e accesa in quanto vide un maggiore susseguirsi di trattative di acquisizione fallite. (In particolare ricordiamo quelle con il gruppo industriale Calabrese e la Gestpar.) Vi furono poi pressioni alla politica affinché si prorogasse la cassa integrazione e si permettesse alla fabbrica di ricevere i finanziamenti del GEPI, mentre dall’interno si svilupparono critiche al Commissario Cavallo che, nonostante i suoi meriti, fu carente nel cercare nuove commesse per la produzione

 Infine l’atto conclusivo, con l’acquisizione della Sima da parte della Sirmac e l’assorbimento definitivo da parte di Caterpillar, che porterà l’azienda jesina a rinominarsi Hidropro. Quest’ultimo periodo, rispetto agli altri due, vide delle differenze nella conduzione della lotta.  Mentre infatti inizialmente l’attenzione rimase alta proprio per sollecitare le riassunzioni mancanti – che ricordiamo la Sirmac aveva promesso – il focus si andò poi spostando verso i lavoratori che con la nuova proprietà non vennero riassunti.  Questi formarono un loro comitato specifico, il quale in ogni caso ebbe limitati spazi di manovra, poiché sia il personale dirigente che i tempi erano ormai diversi. Ciò si collega al mutamento della società italiana, la quale da una dimensione collettiva, “operaia” degli anni ’70 andò verso una dimensione individualista, che negli anni ’90 può dirsi conclusa.

«La Simeide» è la Resistenza operaia dalla periferia, in un periodo in cui cambia il modo di funzionare del mondo

Dall’Introduzione: Tullio Bugari, La Simeide

Questo cambio di paradigma ebbe dei riflessi nel modo in cui gli eventi vennero percepiti. Se infatti precedentemente le richieste degli operatori Sima rimasero sempre al centro dell’attenzione locale, con la stessa popolazione cittadina che, persino durante i ripetuti blocchi ferroviari, rimase schierata dalla loro parte, successivamente si andò registrando un mutamento rispetto agli ex cassintegrati, cioè coloro che, dopo non essere stati riassunti e non potendo trovare un’altra occupazione, rimasero fuori dalle coperture sociali. Per queste persone, che come i loro ex colleghi avevano dato vita ad un coordinamento, fu più difficoltoso riuscire a far valere le proprie ragioni e di conseguenza avere dalla loro personalità politiche di peso, anche se va riconosciuto che queste furono bene o male sempre presenti. Anche il sindaco di Jesi Polita riuscì a favorire lo sviluppo di nuove possibilità sul territorio, dove trovarono lavoro gli ultimi operai non più riassunti dall’odierna Hidropro, alcuni dei quali, come detto sopra, erano rimasti fuori anche dai sussidi statali.

La Simeide racconta una vera e propria odissea, che nonostante alcuni risvolti amari alla fine ha ottenuto un esito felice, frutto di una convergenza di interessi e di spirito tra lavoratori, sindacati e figure politiche alla fine risultata vincente. Benché non si possa affermare che tale alleanza sia stata idilliaca – basti guardare solamente i costanti botta e risposta tra DC, Pci e, in misura minore, Psi – ha saputo comunque mantenere la bussola nonostante il passare del tempo, con il Consiglio di fabbrica che funse da vero e proprio di nord magnetico, senza il quale questa lotta vincente non sarebbe forse neanche iniziata.

«Il testo si legge facilmente, nonostante l’argomento non sia certo leggero.»

Dal sito «Il topo di biblioteca: Recensioni, interviste e segnalazioni a tema letterario» (5 luglio 2020)

Inizio ringraziando Seri editore per avermi inviato una copia dell’opera.

La Simeide prende il nome dalla Sima, una grossa fabbrica di Jesi che é anche la città natale dell’autore. Si tratta dell’epopea moderna di una fabbrica di operai di periferia, ampiamente contestualizzata grazie a un lungo preambolo sugli anni che precedono la lotta che é oggetto del testo, sia per quanto riguarda l’ambito locale che nazionale: era infatti la Fiat il principale cliente della Sima. La lotta di cui si parla inizia nel 1977, ma gli operai già da anni sono protagonisti ad esempio attraverso i consigli di fabbrica: non erano quindi ignari di ciò che succedeva intorno a loro, ma insieme alla città e alla comunità erano partecipi e hanno portato avanti la loro battaglia. L’opera racconta dettagliatamente la vertenza dagli anni Settanta agli anni Novanta, compresi i cambiamenti sociali e politici direttamente o indirettamente connessi. La vecchia proprietà della Sima, quella del 1977, anni dopo finì a processo per costituzione di capitali all’estero, nello specifico in Brasile. Nel 1988 entrò una nuova proprietà, con la garanzia di riassumere quasi tutti gli operai e di proseguire l’attività oleodinamica in cui la Sima era leader. Nel 1996 la nuova Sima viene assorbita dalla Caterpillar e anche l’ultimo operaio viene ricollocato.

Il testo si legge facilmente, nonostante l’argomento non sia certo leggero. Devo segnalare alcuni refusi, che comunque non pregiudicano la comprensibilità delle frasi. Il cartaceo é invece di ottima qualità, sia per quanto riguarda le pagine e la copertina che per quanto riguarda la dimensione del carattere. Consiglio la lettura a chi sia appassionato al tema delle lotte operaie, anche a chi non abbia già conoscenze sul contesto perché l’autore nella prima parte lo chiarisce anche ai non addetti ai lavori. Nel complesso é senza dubbio un testo di qualità, si capisce chiaramente che il lavoro di ricerca dev’essere stato titanico.

La Simeide (con una dedica a Pinelli)

Alcune foto da “La Simeide, una lotta vincente” venerdì 7 febbraio allo STED di Civitanova Alta. Ancora una volta in “trasferta”, cioè fuori dalla zona di Jesi, dove la Sima era localizzata e da dove venivano i circa 700 dipendenti che vi lavoravano alla fine degli anni settanta. Allora erano due gli stabilimenti (poi fu aggiunta al gruppo anche la RCD di Monsano), quello storico in via Mazzini (adiacente al centro storico di Jesi, nello stesso luogo dove nel 1884 Alfredo Zappelli aveva fondato la sua azienda, che poi divenne Sima nel 1926, e che a sua volta nel 1952 si rinnova e amplia, affidando il progetto di due nuovi capannoni a Marco Zanuso, l’ingegnere di fama mondiale amico e collaboratore di Adriano Olivetti, che a Jesi realizzerà anche la nuova palazzina uffici della Sima, oggi ancora esistente mentre i capannoni furono abbattuti all’inizio degli anni novanta) e poi il nuovo stabilimento realizzato negli stessi anni settanta a via Roncaglia, nei pressi dell’uscita Jesi est della superstrada.

Quest’ultimo è ancora esistente, sotto la proprietà della multinazionale Caterpillar, con circa 250 dipendenti impegnati nelle stesse produzioni – cilindri oleodinamici – in cui allora era specializzata la Sima. Perché quella crisi non fu “di prodotto” ma “finanziaria”, causata dalla cattiva gestione della proprietà, ma finì anche per intrecciarsi con le “ristrutturazioni capitalistiche” di quegli anni. E tra queste un’importanza particolare la ebbe proprio la riorganizzazione del gruppo Fiat, a cui la Sima era legata non solo per le forniture ma anche perché già negli anni cinquanta era diventato proprietario il nipote unico di Vittorio Valletta, lo storico amministratore delegato della Fiat. All’età di vent’anni il nonno gli regalò una fabbrica, acquisendo nel giro di pochi anni la maggioranza del pacchetto azionario.

Questo doppio legame amplia in modo significativo l’orizzonte al cui interno si sviluppò la lunga “vertenza” e la lunga lotta dei dipendenti della Sima, per sottrarsi dalla crisi, estromettere la proprietà e chiedere l’intervento di un proprietario più affidabile. Il libro racconta questo, e questo nelle nostre serate lo proponiamo con un reading di estratti dal libro e accompagnato dalle canzoni composte proprio per commentare questa storia. Che non è più una storia locale ma è rappresentativa di tante lotte condotte dalle tante periferie nei confronti dei grandi centri decisionali. Scrivo così nell’introduzione: «Il “centro” e la “periferia”. Gli operai della Sima come Asterix contro le legioni di Cesare, dove Cesare a un certo punto è Romiti, il quale, quando la crisi finanziaria in Sima è già manifesta, diventa amministratore delegato della Fiat e propone 14 mila licenziamenti, cioè venti volte la stessa Sima.»

La Vi Cunto e Canto band per questa occasione era composta da Tullio Bugari, Silvano Staffolani, Alessia Costantini e Lorenzo Cantori. Tra le canzoni in scaletta ne riportiamo qui sotto due: Treni alla Stazione e Don Chisciotte; alla fine però abbiamo aggiunto una canzone in più, Vi estas Pino, dedicata a Giuseppe Pinelli, perché la ricorrenza del 12 dicembre, anniversario della “strage di stato”, era una scadenza politica importante in quegli anni, che furono anche definiti della “strategia della tensione”. E ancora di più perchè qualche giorno fa a Milano in piazza Segesta, davanti alla casa dove Pino abitava con la sua famiglia, è stata distrutta la lapide dedicata a lui, posta li in quella piazza proprio l’ultimo dodici dicembre, appena due mesi fa, in occasione del 50° anniversario di quegli episodi.

(di tutte e tre le canzoni non ho il live di venerdì scorso ma la versione registrata).

La Simeide, a Monte San Giusto

Alcune foto ricordo del reading La Simeide mercoledì 11 dicembre a Monte San Giusto, invitati dall’associazione LibRisate in una bella e antica sala, a Palazzo Bonafede. Su fb c’è anche una registrazione video dell’intera serata; presente con noi, per la prima volta, Alessia Costantini con il suo flauto. Trattandosi della vigilia del cinquantesino di quella grande tragedia che fu “la bomba di Piazza Fontana”, conosciuta anche come la “Strage di Stato”, abbiamo chiuso la serata con la nostra canzone Vi Estas Pino, dedicata al ferroviere anarchio Giuseppe Pinelli.